Sanita', mia cara sanita'
— 22/04/2020
Federica Costantini propone un’analisi sulla situazione non solo territoriale ma anche nazionale sanitaria, basandosi su dati di ricerca rilevati da fonti sia di analisi economica che medico-sanitaria.
Ed è proprio così che…dopo una prolungata quarantena abbiamo rivalutato i cosiddetti beni necessari e compreso bene come il rapporto offerta/domanda dei prodotti possa variare a seconda del periodo. Prima della pandemia consideravamo beni primari oggetti di poco valore come rossetti, profumi o quel determinato paio di scarpe che era entrato in commercio. La situazione si è ribaltata: chi lo avrebbe mai detto che le mascherine sarebbero diventate la nostra prima necessità? Dal 26 febbraio in poi l’emergenza sanitaria ha iniziato ad estendersi in regione Lombardia con i primissimi casi di COVID-19 circoscritti a Codogno e fin subito era stata registrata una mancanza di mascherine di ogni tipo e di guanti di lattice. Data l’emergenza, la regione si è vista costretta ad acquistare ad un prezzo triplicato (di circa 9,60 euro a pezzo) da un produttore in Cina con sede a Wuhan. Così, dopo la consegna di quel carico, dal 4 marzo in poi nessun tipo di mascherina ha circolato nei vari negozi al fine di tutelare quella parte di popolazione. Dopo il famoso esodo dell’8 marzo, quando l’Italia è stata dichiarata interamente zona rossa, il costo delle mascherine è cresciuto a dismisura in qualsiasi parte d’Italia. Le FFP2 che prima erano vendute a 65 centesimi salgono a 2,50 euro, le FFP3 passano da 1 euro a 4,35. La situazione in tutto il paese è dunque al collasso e viene incaricata dalle regioni la Protezione civile al fine di distribuirne alcune di fabbricazione artigianale o barattate con i venditori di piastrelle (come nel caso dell’Emilia Romagna). Nel nostro Comune (San Giovanni a Piro –SA) siamo riusciti ad ottemperare a questa grave mancanza grazie alle mani sapienti degli ‘’artisti della stoffa’’, così amo definirli, che hanno donato delle mascherine cucite sapientemente in tessuto. Altre invece sono state donate dalla Farmacia e Parafarmacia, altri lotti acquistati direttamente dal Comune. Purtroppo tale difficoltà non si è evinta solamente dal lato ‘’protezione sanitaria personale’’ ma anche in merito al trattamento dei reparti ospedalieri della terapia intensiva. Ormai è a tutti noto che tale virus colpisca, nella maggior parte dei casi, organi vitali come i polmoni e che i trattamenti più specifici e gravi vanno affidati alla terapia intensiva. Dall’analisi economico-sanitaria fatta prima di tale emergenza, parecchi ospedali estesi da Nord a Sud, mancavano di reparti adeguati o abbastanza grandi da poter ospitare tutte le vittime colpite da COVID. Una parte di questa magagna ovviamente è stata addossata anche ai mille tagli fatti alla sanità da parte dello Stato negli ultimi anni. Partendo da Nord fino ad arrivare all’estremo Sud dell’Italia, possiamo però vedere quanto questa emergenza abbia portato in qualche modo a qualcosa di positivo e a una necessaria riflessione più approfondita da parte di chi gestisce la Sanità. In questo stato di allerta sono stati costruiti ospedali da campo in varie città, sono state utilizzate delle costruzioni adibite ad altri scopi, come Rho Fiera a Milano (ospedale San Raffaele) o la Fiera di Bergamo grazie alle donazioni di banca Intesa e al sussidio pratico degli Alpini così come la costruzione di nuovi reparti a Napoli all’Ospedale del Mare di Ponticelli, a Salerno e a Caserta fino ad arrivare agli ospedali del Cilento come quello di Sapri. L’ospedale dell’Immacolata fin da metà marzo, al fine di prevenire l’emergenza qualora si fosse presentata, è stato fornito di sussidi economici, arrivati da quasi tutti i Comuni del distretto Sapri-Camerota, destinati all’acquisto di ventilatori polmonari e di strutture ampliative per il reparto terapia intensiva. Prima dell’inizio della pandemia, in Italia erano presenti circa 5179 posti per il medesimo reparto e già dagli inizi di marzo ospedali come quelli di Bergamo, Brescia e Cremona hanno ammesso di non aver avuto scelta, hanno dovuto selezionare i pazienti da ‘’intubare’’. Già otto anni fa eravamo sotto la media di Germania e Austria, avendo noi a disposizione 1.844euro per ogni abitante a differenza dei 3.000 euro impiegati dagli stati prima citati. Secondo il rapporto della fondazione Gimbe, durante il decennio 2010-2019, la crescita dell’inflazione ha superato i fondi messi a disposizione con il calo automatico dell’ assistenza all’interno degli ospedali. L’altra questione riguarda l’assunzione del personale sanitario: la presenza media dei dottori di famiglia è superiore alla media dell’Ue, mentre il numero dei medici che esercitano all’interno degli ospedali è in calo, stessa cosa vale per il numero di infermieri. È una delle cause che ci ha resi impreparati nel fronteggiare la pandemia del secolo. Se riusciremo ad uscirne sarà solamente grazie al lavoro senza riserve di tutto il personale sanitario e alle azioni di solidarietà e assistenza di tutta la comunità.
Cara sanità, speriamo di aver imparato per il futuro una lezione anche in tal senso.
Federica Costantini
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