Il ricordo della maestra Annita Marchesoni
— 14/08/2020
Nel piazzale dinanzi alla stazione era ferma una corriera blu, un cartello poggiato sul cruscotto ne indicava la destinazione. La ragazza poggiò a terra la valigia e si guardò intorno, di fronte, sullo sfondo la montagna, più avanti le colline scoscese e dalle punte aguzze, intorno alberi di ulivo. Due uomini giunti con il suo stesso treno salutarono allegramente l’autista della corriera e salirono; uno di essi, accennando solo un sorriso, le tolse la valigia dalle mani e la sistemò sulla reticella, poi le consigliò un posto comodo dove avrebbe avvertito meno gli scossoni durante il viaggio. Lei volle vedere in quella gentilezza un gesto d’accoglienza, mandò indietro la voglia di piangere, chiuse gli occhi e cominciò quello che sarebbe stato il viaggio di una vita.
L’arrivo della corriera a San Giovanni a Piro era un evento quotidiano, un tacito appuntamento per molti; si sapeva che quella sera sarebbe arrivata la nuova maestra, per cui c’era qualche curioso in più ed anche un impiegato comunale con l’incarico di ricevere la nuova arrivata.
La giovane donna scese dall’autobus e sentì tutti gli occhi fissi su di lei, se avesse potuto avrebbe afferrato la valigia e sarebbe scappata lontano, invece rimase ferma a cercare un riferimento nell’assurda speranza di vedere un viso noto. Ad un tratto si avvicinò un uomo con un pacioso sorriso, si presentò, era il Sindaco del paese. Quella sera conobbi la mia maestra perché il Sindaco era mio padre e la invitò a cena a casa nostra.
Era il 1954. Io fui un’alunna della prima elementare assegnata alla signora Annita, come da quel momento fu chiamata.
La realtà di San Giovanni a Piro era quella di un paese in cui mancava l’acqua in casa, c’era un posto telefonico pubblico ed una sola corriera che portava alla stazione di Centola, la televisione sarebbe arrivata qualche anno dopo. L’esperienza educativa della scuola di Barbiana non era ancora conosciuta, ma quando da insegnante ho letto alcuni scritti di don Milani ho trovato tante analogie fra i bambini del Mugello e noi bambini di San Giovanni; ho constatato che la mia maestra aveva saputo anticipare lo spirito di quel messaggio pedagogico.
La maggior parte dei bambini della mia classe parlava solo il dialetto e lei arrivava dalla Lombardia! Era un gioco divertente tradurre in italiano certi termini dialettali che lei ripeteva fra le nostre risate; su di un quaderno creammo una specie di vocabolario.
La mia maestra rispettava la fragilità e le limitazioni degli alunni privi degli stimoli culturali essenziali quali il libro, ma riusciva a creare le condizioni di apprendimento e sapeva suscitare la curiosità d’imparare.
Quello dell’insegnante è un lavoro invisibile, nessuno può dire quale sarà la sua influenza nella vita.
È stato alla scuola elementare che ho cominciato ad amare la lettura. La maestra leggeva delle storie che ascoltavamo incuriositi, il libro poi lo potevamo sfogliare, guardare le figure, passando di mano in mano quasi fosse un giocattolo. Fu anche questa una precoce intuizione didattica.
Sono passati tanti anni, ogni estate la signora Annita ed io trascorrevamo qualche ora insieme ed il tono delle nostre chiacchierate è cambiato nel tempo: è come se la differenza di età fra noi fosse scomparsa, eravamo due donne con un vissuto complicato alle spalle, ma contente di ritrovarsi per raccontarsi e recuperare insieme, con nostalgia, con tenerezza la memoria di un pezzo di vita. Mentre scrivo vado indietro nel tempo, rivedo una giovane donna e una bambina, poi tanti fotogrammi di vita, lo scorrere degli anni, di visi, di luoghi, di avvenimenti.
A lei, alla mia maestra, sono grata perché per merito suo mi sono sentita gratificata dal mio lavoro, grazie al suo ricordo ho capito da subito che insegnare non è solo trasmettere conoscenze, ma creare una relazione fra due persone, una delle quali ha diritto all’impegno e al rispetto.
A lei sono grata per aver contribuito alla serenità della mia infanzia, quella stagione della vita che ti accompagna per sempre e il cui ricordo addolcisce gli inevitabili giorni di tristezza.
Maria Teresa Alleva
Che la terra ti sia finalmente lieve
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
Alda Merini
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