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Cara Prof...Al tempo del Coronavirus



Torna oggi una rubrica che Pyros pubblicava sul cartaceo dal titolo "Cara prof...", un dialogo tra Clara, una studentessa e la sua guida. Ritorna in una nuova piattaforma, on line, ma con la stessa sincerità e sensibilità, oggi, in tempo di reclusione forzata in casa per il coronavirus.

Cara prof,

vi scrivo con la certezza che avrete del tempo per rispondermi.

D’altronde siete a casa da scuola, così come me, tutti i miei coetanei e tutti i vostri colleghi.

Non so voi, ma stare senza la scuola è proprio piacevole.

La mattina c’è tutto il tempo che si vuole per alzarsi, senza la fretta di prendere alcun pullman e l’ansia per qualche tipo di verifica.

Il pomeriggio poi... L’ozio prende il posto di qualsiasi buon proposito: avevi l’intenzione di studiare? Perché non mettersi sul divano?  In fondo è “vacanza” adesso. E così le ore volano senza far nulla.
Arriva la sera. Fare tardi è quasi doveroso, alla stregua di una forma di rispetto verso i sé stessi del mese prima che il giorno dopo dovevano alzarsi presto.

Alla fine stare senza scuola è bello, ma incredibilmente noioso.

La mattina la maggior parte della società adolescenziale la passa a dormire fino all’ora di pranzo, le ore pomeridiane ad ammazzare il tempo con qualche film (e qualche raro soggetto con un libro), e la sera, beh, non si sa quasi mai in che modo si finisca ad arrivare svegli alle 2, ma lo si fa.

E questa routine non è che dia tanti stimoli e soddisfazioni. Insomma, bello essere liberi nella totalità della giornata, ma fino a che punto?

Molti professori si stanno mobilitando e dando da studiare, ma farlo soli in camera è diverso da farlo tra i banchi con i propri compagni. Già fare versioni è pesante, farlo da soli poi è una tortura.

A differenza dei nostri genitori, noi ragazzi non possiamo nemmeno spendere qualche minuto a torturarci con ansie e preoccupazioni per il virus che sta mettendo in ginocchio il paese, perché, a differenza loro, siamo sempre connessi (sarà un bene o un male?) e sappiamo bene quanto farsi prendere dal panico sia solo nocivo. Siamo bombardati da informazioni, credo sia impossibile, ormai, non sapere come comportarsi.

Eppure abbiamo la dimostraziona di come le precauzioni siano insufficienti, ma più che altro di come noi italiani, in particolare gli adulti, siamo incapaci di pensare lucidamente: vedi gli assalti ai centri commerciali a fare rifornimenti, quasi a combattere la fine del mondo, o gli attacchi razzisti e le fughe dalle zone rosse.

Stare a casa da scuola è quasi un paradiso, ma farlo per obbligo e per un dramma del genere non è che diverta nemmeno noi pigri studenti.

In fondo, siamo ben coscienti che tutti si risolverà nel migliore dei modi, ma le situazioni nuove spaventano sempre tutti. Ma alla fine basta il coraggio di volerle affrontare, anche se non si sa esattamente come.

E voi professori, come state vivendo questa forzata “vacanza”?

Tirando le somme, noi ragazzi speranzosi e annoiati.

Con affetto,                                                                                                            

Clara

 

Cara Clara,

hai ragione: abbiamo del tempo.  In questo disordine necessario, un tempo diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati.

Ci sono tanti atteggiamenti che avevamo dimenticato, caduti man mano dietro ai nostri “non ho tempo”. Come riaprire delle scatole nascoste. Giocare tutti insieme a carte, preparare l’impasto della pizza o di un dolce, imparare dagli anziani qualcosa in cui non ci eravamo imbattuti ancora, leggere quel libro nello scaffale, o rivedere il nostro film preferito, scrivere e chiedersi “come stai?”, giocare con il proprio fratello o suonare e cantare insieme, un lavoretto in giardino, dover ascoltare senza poter addurre scuse, le confessioni dell’amica chiacchierona, annoiarsi.

Così a volte sono a casa mia e a volte non ci sono. Sono con i miei alunni che ciondolano per la stanza, che restano per ore sul divano o provano a fare i mestieri di casa, che iniziano a scrivermi un tema, o a fare il disegno che ha proposto loro il professore di arte con lo slogan #iorestoacasa.

Anche questa è una lezione, una di quelle che affrontiamo distanti ma che ci farà crescere insieme. Non c’è un libro con le spiegazioni né soluzioni alla fine dell’esercitazione ma c’è quel farmaco che voi possedete in gran misura ed è la speranza. È un groviglio di spine ma sappiamo che ci sono delle rose in cima e il loro profumo. Quello lo sentiamo.

Sai? A scuola stavamo leggendo il Decameron, raccontando di quei giovani che durante la peste del 1348 si sono riuniti fuori dalla città e trascorrevano il tempo restando isolati e creando delle storie. Questa è davvero una bella idea e sicuramente più utile di quello che sottolineavi anche tu in merito agli assalti ai supermercati, alle fughe insensate e all’ossessione delle notizie minuto per minuto.

Se tutto chiude, possiamo aprire i nostri pensieri, qualcosa come il cielo in una stanza.

Anche in questo momento così confuso e fosco, pensiamo alle idee e alle azioni belle, a chi si offre di fare la spesa necessaria agli ammalati o a chi neanche per necessità può uscire, a chi inventa un gioco per far divertire i più piccoli, alle iniziative della solidarietà digitale che permettono, anche a chi non può, di godere di determinati servizi online, alla “Fiesta immobile” e a Radio Casa Bertallot che regala ogni giorno mezz’ora di reading, a chi si organizza per suonare con il proprio strumento e donare la musica dalla finestra.

Abbiamo la possibilità, nello straniamento generale, di animare, di dare una coscienza anche all’otium.

Nel mondo latino esso era contrapposto al negotium, a tutto quello che era commerciabile, attività frenetica e affare, ed erano ugualmente importanti. Ma l’ozio era quello a cui aspirare davvero, perché era necessario alla cura di sé, alla consapevolezza e alla costruzione di una responsabilità personale e collettiva, quella a cui oggi ci chiamano quotidianamente.

Già che ci siamo, allora conviene lasciare la luce accesa su quest’otium, non credi?

In quanto a noi docenti non stiamo bene lontani dalle nostre classi, lontani da voi: credo di riassumere il sentimento di tutto il corpo insegnante con questa semplice ma sincera verità. Perché alla fine fare l’appello, guardarvi negli occhi, vedervi scrivere tra i banchi, cercare aiuto ed essere immersi dai vostri racconti, dalle vostre curiosità infinite, anche dalle vostre ansie, è la sola scuola che conosciamo. È la sola scuola che possa esistere.

Quello che ci unisce e ci fa discenti tutti insieme, noi e voi, non coinciderà mai con un pc, una lezione inviata su una piattaforma o un link condiviso.

Tirando le somme, nessun disinfettante potrà regalarci purezza se quell’esigenza non parte da noi stessi e sicuramente nessun virus potrà renderci mai davvero distanti.

Con immenso affetto,

La Prof

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