Momenti di non trascurabile bellezza - Puntata n.2: Le foto di famiglia
— 16/02/2020
“Peppù ma sei tu? Sembri un’altra persona!”.
“Sì, sò io. È stata una signora!”.
Ogni tanto, quando vado a casa della mia madrina Francesca, me la faccio raccontare questa storia.
Peppuccio di Rofrano era un mendicante che girovagava per i paesi vicini in cerca di un po’ di pane o di frutta. Non avendo una casa, né famiglia evidentemente, se ne andava in giro con addosso tante maglie e maglioni uno sull’altro e lo stesso valeva per pantaloni e oggetti vari. Non avendo un armadio in cui riporre i pochi indumenti e utensili, portava tutto sempre con sé.
La mamma di Francesca, Pasqualina, lavorava presso alcune ville di Scario e faceva le pulizie e i mestieri necessari in casa. Al termine delle sue mansioni, dopo aver rassettato, alla fine del pranzo dei signori presso cui lavorava, si fermava per poter consumare il suo pasto. Da quando aveva conosciuto Peppuccio, ne lasciava sempre un po’ anche per lui. Sarebbe sicuramente passato di lì affamato.
E lo si sentiva arrivare perché aveva con sé questi barattoli di latta, legati tra loro da un filo, che trascinandoli tintinnavano.
Un giorno Pasqualina lo prese con le buone e lo convinse a togliersi qualche indumento di troppo che gli impediva di muoversi con dimestichezza.
“Aveva la faccia scura come questa panca di legno”, mi racconta, “e così misi a bollire dell’acqua e prima di mangiare lo feci lavare. Aveva anche i piedi di fuori, glieli lavai io e gli diedi dei calzini e delle scarpe che mi ero conservata apposta. Da quella volta, aveva preso l’abitudine di lavare sempre le mani prima di mangiare qualcosa”.
Tra gli altri oggetti che Peppino aveva sempre dietro c’erano delle carte e tra queste una fotografia, l’unica che aveva di se stesso, l’unico oggetto che per lui aveva un valore.
Se oggi racconto questa storia è perché quella fotografia è stata incorniciata e appesa a casa di Francesca e Pasqualina, ad una parete della cucina insieme alle foto di famiglia più care e ai ricordi d’infanzia.
Peppuccio era un po’ scettico nel donarla perché non aveva altro, ma sapeva che sarebbe stata in buone mani e sperava che il suo ricordo sarebbe rimasto a qualcuno, a quella signora che tante volte si era dimostrata con lui gentile.
De André avrebbe detto “per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità”.
La perdita dei valori, il nichilismo, l’individualismo… smarriscono solo così ogni forza e senso.
I greci ce lo hanno insegnato e c’è un concetto splendido che si apprende studiandoli: quello dell’identità come dono sociale. Abbiamo bisogno degli altri per essere noi stessi. E la bellezza ci colpisce perché ha sempre un legame con l’etica. Nel bello c’è il buono.
“Peppù… sei tu? - Sì, sò io”.
Enza De Martino
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