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San Giovanni a Piro nel Risorgimento, terza e ultima parte dello studio di Franco Cariello



Pubblichiamo la terza e ultima parte dell'avvincente studio di Franco Cariello su San Giovanni a Piro nel periodo del Risorgimento, ringraziando ancora l'Autore per questo stupendo regalo donato alla comunità.

San Giovanni a Piro nel Risorgimento, terza e ultima parte

Ma la rivoluzione che coinvolge tutta l’Europa è quella del 1848. 

Nel Cilento l’apostolo di questo movimento è Costabile Carducci che troviamo presente a S. Giovanni a Piro, ospite per tre giorni in casa di Felice Petrillo, un agiato possidente, noto in paese e nel circondario per le sue idee liberali.  Il Petrillo già dalla fine del 1820 ha sostituito Michele Solimene nel ruolo di Gran Maestro della Vendita carbonara sangiovannese e, forse anche in una prospettiva insurrezionale, riesce a far nominare suo figlio Giuseppe comandante del Corpo delle Guardie Urbane locali.  

In questo periodo a S. Giov a Piro, oltre al Petrillo, incontriamo due personaggi molto attivi nella propaganda e nell’azione anti borbonica. Il primo è Gennaro Caputo, un giovane falegname, figlio di Vincenzo Caputo e di Giuseppina Sorrentino, ed il secondo è Gennaro Palumbo, figlio di Giuseppe Palumbo, avvocato, e di Marianna  Vassallo. I Palumbo sono un’importante ed antica famiglia sangiovannese di ispirazione liberale, tanto che il giovane  Girolamo, già prima del ’48, aveva scontato quattro anni di carcere a Camerota per reati politi contro lo Stato. Il primo, Gennaro Caputo viene arrestato nel 1849 e condannato a tre anni di carcere per reati politici ed insieme a lui viene arrestato, per gli stessi reati, Domenico Petrillo che morirà poi nel carcere di Camerota nel 1852. Questi, lascia un figlio di diesi anni, Vincenzo, che troveremo arruolato nella guardia nazionale  nel 1862.

Gennaro Palumbo, invece, in pochissimo tempo, fra Lentiscosa, Camerota e S. Giov a Piro, riesce ad organizzare una compagnia di 150 armati che unisce a quelli di Costabile Carducci. E’ presumibile che questa operazione militare sia stata programmata ed organizzata proprio nei giorni di permanenza di Costabile Carducci a casa Petrillo.  Ma Gennaro Palumbo è da ricordare anche perché in paese è il referente di altri due suoi fratelli, residenti a Napoli, noti soprattutto alla polizia borbonica perché avevano fatto della loro tipografia, nel rione Monte Oliveto, un punto di incontro dei cospiratori napoletani. Il maggiore è Girolamo, che abbiamo già citato perché ha scontato nel carcere di Camerota quattro anni di reclusione per reati politici, ed il più giovane, Luigi, segue le orme della famiglia adoperandosi in attività rivoluzionarie contro i Borbone. A Napoli, oltre alla famiglia dei Palumbo, è attiva un’altra famiglia sangiovannese, la famiglia Leanza: Il capostipite, il Cav. Luigi Leanza ed il nipote Emanuele. Questa famiglia abitava a via Gravina, nel rione Monte Oliveto, nel palazzo che oggi ospita la facoltà di architettura, e proprio da quel palazzo partono i primi colpi che danno inizio alla rivolta del 1848. Il rapporto di polizia ci informa minuziosamente su quale era il loro appartamento (al primo piano), sulle persone che parteciparono alla sommossa di quel giorno e della sparatoria nella quale rimase ferita anche la figlia quindicenne del Cav. Leanza. Le famiglie Palumbo e Leanza sono in prima linea sulle barricate, guidano i combattimenti, ma le sorti della rivoluzione, come tutti sappiamo, dopo poche mesi volgono al peggio e la reazione borbonica è durissima, forse come non mai. I nostri compaesani cercano di fuggire, per qualche tempo riescono a nascondersi in case di amici, poi l’anno successivo, nel 1849, vengono arrestati. Sono incarcerati, processati  e condannati a morte.  Nella stessa cella dei Palumbo e Leanza sono rinchiusi altri condannati a morte, illustri esponenti del mondo liberale meridionale fra i quali ricordiamo i più famosi come Carlo Poerio, Luigi Settembrini e Silvio Spaventa. E si deve agli scritti di questi intellettuali la conoscenza di tanti particolari che ricordano le due famiglie sangiovannesi. La sera precedente alla sua condanna a morte il Cav. Leanza scrive una lettera bellissima alla moglie, una lettera che testimonia non solo la sensibilità d’animo ma anche il grande spessore culturale del personaggio. Passa qualche mese e, la sera precedente all’esecuzione, la pena capitale viene commutata nel carcere a vita e il funzionario regio che va in carcere a comunicare la notizia pronuncia soltanto questa frase: L’augusto sovrano nella sua magnanimità vi toglie tutto tranne la vita.

Luigi Leanza, quando ancora da giovane era a S. Giovanni a Piro, dove era nato il 3 settembre del 1788, aveva partecipato alla campagna napoleonica di Russia del 1812 nel reggimento del gen. Murat, era sopravvissuto ai terribili rigori dell’inverno russo che aveva decimato l’armata francese e, come tutti  quelli che avevano avuto un posto di comando in quella campagna, fu nominato Cavaliere dal Re Gioacchino Murat. Ma il vecchio combattente giacobino nulla può contro una malattia polmonare che lo uccide nel carcere di Nisida  il 10 di agosto del 1854.

A proposito di questo personaggio voglio portarvi a conoscenza di una curiosità che credo farà piacere a tutti ed onora il nostro Comune. Il famoso prof. Cesare Musatti, padre della psicoanalisi italiana, nel suo libro ”Mia sorella la psicoanalisi” edito dagli Editori Riuniti nel 1982, ha svelato di avere, oltre al nome Cesare, anche il nome Luigi che gli venne imposto alla nascita in onore del bisnonno materno, orgogliosamente ricordato in famiglia come un eroe risorgimentale perché morto nelle carceri borboniche. Ebbene questo bisnonno materno era il Cav. Luigi Leanza di S. Giovanni a Piro.

Gli altri tre ergastolani, Luigi e Girolamo Palumbo ed Emanuele Leanza, restarono in carcere fino al 1858 quando la pena venne commutata in esilio oltre oceano. Dopo l’unità d’Italia solo Girolamo tornò a Napoli dove svolse un importante ruolo nell’amministrazione pubblica. Morì a S. Giov a Piro nel 1873 e venne sepolto nella Chiesa di Pietrasanta.

Come dicevo all’inizio, secondo il prof. Beels il ’48 è il confine temporale della fase risorgimentale e l’inizio della fase dell’unificazione.

Entra in gioco pesantemente la diplomazia e la politica. Le camice rosse garibaldine sbarcano, combattono, avanzano, ma diventano sempre più strumento del governo e della cancelleria piemontese. L’eroe dei due mondi, proveniente dalla Calabria, sbarca a Sapri, ripercorre i sentieri che avevano visto Pisacane vittima del suo sogno e dei suoi ideali. Poi conosciamo tutti il seguito della storia. A Vibonati l’esercito garibaldino pose il quartier generale e, nelle mie ricerche, ho trovato arruolati nelle camicie rosse due cittadini di Scario, tali Domenico Riviello e Domenico Cobuccio, e  un certo Giovanni Alleva di S. Giovanni a Piro.

Il plebiscito del 17 marzo 1861 sancisce l’unità d’Italia, ma molti che avevano dato i migliori anni della loro vita agli ideali risorgimentali cominciano a chiedersi se tutto ciò che avevano sognato si fosse realizzato. Qualcuno sentenziò che fatta l’Italia bisognava fare gli italiani, ma oggi possiamo dire che gli italiani sono stati fatti  anche se  forse qualcuno non è venuto proprio bene.

Ecco, credo di aver aggiunto un piccolo tassello alla conoscenza storica dei fatti accaduti nel nostro Comune durante il Risorgimento e che, a pieno titolo, possano ascriversi alla grande epopea dell’unità d’Italia.

Vi ho illustrato una piccola parte delle mie ricerche, in estrema e doverosa sintesi, omettendo tanti particolari e tante altre piccole storie, senza presumere di scrivere o parlare da storico, perché io non sono uno storico, ci mancherebbe altro, ma solo un piccolo e appassionato artigiano di storia locale che, grazie a questo giornale,  ha avuto l’onore di ricevere per alcuni minuti la vostra generosa attenzione.

                                                                                                FRANCO   CARIELLO

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